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venerdì 18 marzo 2016

Si avvisano i lettori che: I profili su Giuseppe Macedonio ceramista, riportati su altre differenti Tesi, blog, portali e perfino su Wikipedia, sono imprecisi nei fatti, non per colpa ma per disinformazione della fonte riportata, i cui riferimenti non sono storicamente corretti né  certi.
Il perseguire un incolto copia e incolla delle informazioni ha nel tempo inquinato intellettualmente la verità storica di Giuseppe Macedonio. Increscioso inconveniente disinformativo che si ritrova perfino nella dicitura: fonte ufficiale in cui purtroppo sono riportate le stesse grossolane inesattezze.

Breve, veritiero profilo d’Artista ricavato dagli stessi dettami di Giuseppe Macedonio.

1906, 25 Settembre, nasce al Vomero- Napoli Giuseppe Macedonio, terzogenito di una famiglia illustre.
1923, A 17 anni perde l’intera famiglia. Rimasto orfano è impiegato presso la Ditta Chiurazzi, reparto ceramiche dove il maestro di banco Salvatore Matino gli fa da mentore insegnandogli il mestiere.
1924 \ 1925, la voglia di dipingere è forte. Si licenzia dalla Ditta Chiurazzi preferendo lavorare come apprendista pittore in prova con il decoratore d’ambienti Arnaldo De Lisio… almeno così riesce a esprimersi
1926, Dipingendo pensa a grandi decorazioni architettoniche piuttosto che dipinte in ceramica.
1927, Salvatore Matino presenta Macedonio a Luigi Pinto un ceramista e Aldo Stella, un attivista del P.N.F. con velleità per la ceramica, in modo da dargli la possibilità di lavorare in maniera indipendente da esterno.
1930 \1933, Si reca a Vietri sul Mare, Salerno, attirato dalla “cultura” Russa dall’aspetto di belle signore annoiate. Conosce Maximilian Melamerson proprietario di una fabbrica di ceramiche in Vietri sul Mare, la I.C.S. Durante una visita alla fabbrica, consiglia Melamerson di modificare alcune produzioni perché a suo parere non rendono quanto dovrebbero. Per questo sarà odiato a vita dal Direttore artistico della fabbrica R. Doelker.
Nello stesso periodo è incaricato da Melamerson di seguire il suo progetto alla I. C. S., che prevede di modificare e migliorare alcune produzioni sveltendone la lavorazione e l’aspetto, cosa che moltiplica le vendite.
Melamerson grato ricompensa profumatamente Macedonio proponendogli di restare come direttore artistico alla I. C. S. Macedonio da uomo intellettualmente libero, rifiuta, consigliando di prendere al suo posto un bravo artigiano già impiegato alla I.C.S..
1933 \ 1934, con i proventi Guadagnati, apre in Napoli, al Rione Luzzatti, una fabbrichetta costruendo la sua prima fornace a legna.
1935 \ 1936, stanco del luogo, si trasferisce al Vomero, dove costruisce la seconda e poi la terza fornace a legna.
1937, Nasce di fatto  la società “I due Fornaciari”, ufficialmente dal’38 al 46, Socio di portafoglio: Romolo Vetere che non produsse nessuna opera in ceramica, interessato solo a recuperare il capitale versato.
1938 \ 1946, l’unica produzione artigianale della Società “I due fornaciari” furono le tazze da caffè per la Red Cross, con i cui proventi Macedonio liquidò Romolo Vetere chiudendo la Società.
1946, Macedonio divulga l’idea avuta nel 1925: realizzare Grandi opere per l’architettura in ceramica. Dopo aver eseguito alcuni portali, finalmente giunge il balzo di qualità per l’importanza del nome dell’arch. Luigi Avena, che gli chiese dei copri staffe di rinforzo, in ceramica a sotto-balconi.
Iniziano così le grandi opere architettoniche di Giuseppe Macedonio.
1950 \ 1954, L’architetto Carlo Cocchia offre a Macedonio la realizzazione della Grande Fontana nella Mostra d’oltremare. Macedonio conoscendo l’architetto, accetta a patto di poter pensare e lavorare da solo. Un tentativo d’intromissione dell’arch. Cocchia rischia di far fallire la commessa, così Macedonio ripresenta il progetto modificando il tema secondo personali concetti, inserendo le filosofie del giornaliero  in un mondo fantastico, costellato di animali e piante, rappresentativi di una natura Goethiana.
1954, la notorietà di quest’opera immensa, più di un Kilometro quadrato di ceramica modellata, lo avvantaggia nelle Grandi opere per l’architettura che realizza fino al 1974, i cui concetti si rifanno sempre e solo al mondo che scorre intorno a lui, così com’è per le opere da arredamento che, se pur più piccole, esprimono tutte la forte filosofia del loro presente.
Dal 1936 al 1985, partecipa a tutte le esposizioni cui è invitato, dando loro lo stesso snaturato valore intellettuale, dimostrando in questo gesto i suoi principi etici di equità democratica, lontano da ragioni politiche o ideologiche.

Produce fino al 1986, anno in cui viene a mancare nel corpo, non nello spirito, cosa di cui molti abusano attraverso manifestazioni a suo nome.

giovedì 14 gennaio 2016

L'unica pubblicazione attendibile sulle opere e la vita di Giuseppe Macedonio



Finalmente una pubblicazione sincera sulla vita, il pensiero e le opere del massimo ceramista del '900,  Giuseppe Macedonio attraverso i suoi stessi appunti.
Nasce così...




Il giorno 22 Giugno 2016, alle ore 18,00, presso la libreria Mooks-Mondadori, Vomero, Napoli,  Eugenio  Macedonio con il supporto intellettuale di Franco ListaGaetano EvangelistaGreta e Barbara Macedoniopresenta :
IL GRANDE LIBRO SU GIUSEPPE MACEDONIO, DAGLI APPUNTI DEL MASSIMO CERAMISTA DEL '900, VIAGGIO ATTRAVERSO LA SUA MEMORIA E LE OPERE.

L‟espressione del pensiero di Giuseppe Macedonio ceramista, riportato dalla penna del figlio Eugenio secondo quanto egli stesso dettò e arricchito da comuni ricordi.
La pubblicazione edita nel Marzo 2016 ha poco meno di ottocento pagine, illustrate da più di quattrocentosettanta fotografie di sue opere.
Un panorama intellettuale che ora agisce come “antibiotico” verso quanto di erroneo, falso, impreciso fino al truffaldino, con molta faciloneria è stato fino a ora pubblicato.
Non è un catalogo, tanto meno un memoriale, ma l‟espressione stessa del suo pensiero, in cui finalmente lo studioso potrà ritrovare un percorso non solo chiaro ma reale e veritiero.
L‟opera non è in vendita, lontano da scopi commerciali, la sua efficacia è dare in modo corretto il significato filosofico della sua Arte alla storia.
La tiratura bibliografica di soli trenta esemplari numerati e firmati, è destinata a Biblioteche, Musei, Enti e Istituti di Cultura nel mondo, dove per sua natura e scopo, deve risiedere… soddisfacendo finalmente il desiderio molti, lontano da scopi commerciali, mentre offre al mondo il suo corretto pensiero… 
Il grande libro...può essere richiesto attraverso il circuito dello  ‟Istituto Centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche", appena l'opera sarà disponibile al pubblico, anche se già una copia da prestito è disponibile presso lo stesso autore.
Gli argomenti contenuti  precedono la nascita dell'Artista, superando il primo decennio del nuovo millennio, con la cronaca del dopo Macedonio riportata da suo figlio Eugenio: unica memoria storica attendibile, finita che fu la Moglie dello stesso Macedonio che riporta gli eventi accorsi  dopo la sua scomparsa, attraverso una cronaca schietta e veritiera, completando così il contenuto filologico dell'opera senza inquinamenti intellettuali.
Dove potevo, ai significati filosofici delle opere dettatomi da mio padre, ho integrato comuni ricordi, affiancando le descrizioni delle opere da quanto esprime il Codice Macedonio, strumento intellettuale, inserito nella pubblicazione che risponde senza condizionamenti o inquinamenti.
In questo modo si è ancor più certi di quanto è riportato, anche se in coscienza, anticipo che la cosa non piacerà a molti, fuoriuscendo da quei canoni borghesi e perbenisti che non permettono di esprimersi schiettamente ma solo di esprimere un pensiero d'abitudine ambiguo.
Non è questo il caso, il  pensiero di Giuseppe Macedonio e i Fatti limitrofi la sua esistenza, sono riportati attraverso una cronaca eticamente corretta, per donarli alla storia secondo la loro realtà oggettiva, senza subire più l'inquinamento dei tanti cantastorie.

così si presenta la pubblicazione.




Discorsi ufficiali di presentazione 

da il "quaderno di presentazione"

 
Il pensiero di Franco Lista:
Peppe Macedonio Tra materia ceramica e iterazioni orfiche e immaginative.
Se in fase di studi critici (oggi, tempo de “L’inverno della cultura”, per citare il prezioso volumetto di Jean Clair), ci si esercita a sollecitare la massima attenzione del pubblico su i “numeri”, spesso di foggia psico-circense, dell’arte contemporanea, allora possiamo ben dire che i plastici grumi di preziosa e smagliante materia di Peppe Macedonio (Napoli, 1906-1986) sono ancora segni avvincenti di una poetica narrazione. Segni, direi, di un’attività estetica davvero appassionante sulla quale la critica e la storiografia artistica dovrebbero soffermarsi più a lungo e in profondità, valutando non solo la priorità ontologica del linguaggio suo ceramico, ma anche le interessanti correlazioni valoriali di carattere estetico-sociale, nonché le attraenti implicazioni spaziali e architettoniche. Cose queste che, a mio parere, costituiscono la chiave di accesso alla substantia del fare di Peppe Macedonio.
Per il nostro artista, infatti, una placca, una formella, un pannello, un piccolo portale di una abitazione o un grande svolgimento ceramico erano sempre considerati “un porre in opera incorporante di luoghi…per un possibile abitare di uomini”, come ebbe a scrivere Heidegger per la scultura. Peppe Macedonio perseguiva davvero queste finalità; era un artista, un pensatore, al quale non veniva mai meno il collingwoodiano “svanire della ragione” che spesso contrassegna l’artisticità istintiva o unicamente intuitiva. Chi lo ha conosciuto sa bene che egli faceva filosofia, sociologia, antropologia con la sua vita e con la sua arte, intimamente intrecciate. La sua filosofia, per chi lo ha  frequentato e non certo per gli sprovveduti ai quali sfuggiva pure la rara singolarità del personaggio, era aspirazione e sconfinamento in stile di vita dove la relazione estetica, non disgiunta da quella umana e il pensiero visivo avevano un ruolo centrale nella sua arte, tale da dar voce a tutto ciò che è muto.
Insomma, era quel che si definisce con una locuzione consolidata da un largo uso, un maestro di vita che con la sua arte dava voce a tutto ciò che è muto. L’aulico e il popolare, le tradizioni forti, radicate e identitarie e l’apertura al nuovo per Macedonio era un tutt’uno da fondere nella cristallina materialità della grande arte ceramica. Da questa consolidata, interiorizzata intenzionalità deriva la qualità, la densità, la profondità, la ricchezza che Macedonio veniva plasmando e cuocendo, quasi come solidificazione del primigenio gesto creatore. Ecco le nuove/antiche superfici che lasciano intravedere dense sovrapposizioni di smalti delle sue figure femminili o maschili, degli elementi vegetali, degli animali; insomma di tutto l’inesauribile repertorio arcaico/futuribile della sua vitale fantasia.
Basterà riferirsi a poche opere per capire lo straordinario risultato che Macedonio consegue in un arco di tempo che va dai leggeri e delicati portalini in ceramica degli edifici abitativi del dopoguerra fino ai complessi svolgimenti di proporzioni ambientali. Peraltro, questa produzione decorativa fatta di cornici e portali d’ingresso e di pannelli posti negli atri di edifici costruiti nel dopoguerra nei quartieri collinari, oggi, a ben guardare, costituisce una diffusa punteggiatura cromatica realizzata in svariati stilemi; una sorta di arredo urbano che vivifica l’anonima edilizia pseudo razionalista della città in espansione.
Macedonio si rivela artista in grado di affrontare e risolvere opere di grande impegno anche sotto il profilo dimensionale come accade per l’esedra della fontana della Mostra D’Oltremare, progettata da due grandi architetti, Carlo Cocchia e Luigi Piccinato. Due architetti che potremmo definire, per questa bella opera, amici del verde e dell’acqua. E’ noto, peraltro, che Bernini, autore di tante straordinarie fontane, considerava l’acqua al pari di un elemento architettonico, definendosi per questo “amico dell’acqua”.
Nel contesto del verde della Mostra, la fontana col suo maestoso ed elegante andamento digradante, affidato alle lievi pendenze laterali ha la suggestiva conclusione proprio nel grande svolgimento ceramico dell’esedra che si staglia sullo sfondo arboreo della retrostante collina di Monte Sant’Angelo.
E’ la splendida ripresa della grande storia, del felice connubio tra architettura e maiolica. Penso all’ampiezza visiva degli invasi di Vanvitelli nella Reggia di Caserta e soprattutto al settecentesco Chiostro delle Clarisse di Domenico Antonio Vaccaro e dei ceramisti Giuseppe e Donato Massa, per il quale Roberto Pane sottolineava la gioiosa invenzione resa dall’unitarietà tra arte decorativa, architettura e il verde della pergola e del giardino rustico.
Peppe Macedonio ha statura artistica tale da far fronte alla grande superficie di mille metri quadri dell’esedra. Il vasto svolgimento ceramico è il vero focus della fontana, laddove i lati lunghi della vasca convergono nella loro fuga, indirizzando la percezione visiva del riguardante verso l’accensione cromatica dell’esedra.
Al di là del contenuto ufficiale e celebrativo dell’opera, Macedonio mette in scena i misteriosi, ieratici ritmi dell’homo faber e della natura mediterranea; con grande sensibilità materica procede ad una solare narrazione ove colloca una sorta d’immaginativo, orfico adombramento dell’essenza mediterranea: un’arcadia del reale, della vita e del lavoro nel luminoso, sereno grembo mediterraneo, così come lo è l’intero complesso della Mostra d’Oltremare pur se oggetto di alcune pesanti compromissioni.    
Credo che valutare criticamente l’opera di Macedonio, cercare di capirla possa realizzarsi solo collocandosi al suo interno; cioè all’interno di quella ineffabile mediterraneità fatta di luce, di effetti di fusione e di scambio cromatico tra ceramica, architettura e ambiente sempre in netto contrasto con gli azzurri del cielo. Bisogna necessariamente collocarsi all’interno di quella “incarnazione di senso” (A. Danto) che va oltre il puro dato cromatico della ceramica e ci costringe, ci stimola a un esercizio di nostalgica immaginazione alla ricerca di una arcaica classicità ormai perduta per poter rinvenire un orizzonte di senso che appartiene alla nostra vera natura.
Nel confuso incrociarsi delle babeliche tendenze dell’arte contemporanea l’opera di Peppe Macedonio, per tutto questo, merita una seria, storica collocazione nel panorama dell’arte italiana. Sull’artista Macedonio il discorso critico va necessariamente approfondito, analizzato e circostanziato ed è  nostro dovere, culturale e civile, proseguire in tale direzione.
                                                                                               Franco Lista




Il pensiero di Gaetano Evangelista:
Casa Macedonio,
Avevo 16 anni quando conobbi Eugenio Macedonio, casualmente al Nevada di Via Mattia Preti, il noto locale di divertimento di noi giovani vomeresi di quella generazione, oggi non più esistente e sostituito da una filiale di una banca.
Eugenio studente all’Accademia di Belle Arti di Napoli, io studente di Istituto Tecnico Industriale e del Conservatorio.
L’invito a casa sua, nell’antico nucleo storico urbano di Antignano, fu per me occasione per una stupenda scoperta di vita semplice e condivisa, scevra da formalismi borghesi, di gran cultura artistica e grandi idealità. Una quantità di giovani e artisti di ogni età di arte figurativa e non, ben accolti dal padre di Eugenio: il grande, sotto tutti gli aspetti, Peppe Macedonio, il miglior uomo che io abbia conosciuto in vita. E Peppe e sua moglie accoglievano tutti con grande ospitalità, affabilità e rispetto. Molti di noi sono stati raffigurati e immortalati nelle sue opere, tra le quali i bellissimi busti di Sasà De Benedictis, Eduardo Perna, Lalla Panico ed i figli Roberto e Serena, ma anche in vasi, piatti e gruppi ceramici a tutto tondo, come quello raffigurante gli artisti di strada Wolf e Cristina.
In casa Macedonio non c’era possibilità di annoiarsi: dall’incontro con i personaggi più strani che frequentavano la casa, alle partite a scacchi di ceramica, alle jam session musicali di ogni genere, alle mangiate di pizze cotte, secondo la tradizione napoletana, in forno rigorosamente a volta bombata e le sortite esterne in massa, per spedizioni impensate per assistere a mostre artistiche, concerti o a film di horror o di fantascienza, presso i cinematografi più economicamente accessibili. E gli adulti, vecchi amici di Peppe, perfettamente integrati e partecipi con i giovani.
In tutto questo trambusto di gente e giovani, Peppe Macedonio lavorava  serafico intento a forgiare pezzi di altissima qualità per forma, colore e idea. 
Io restavo affascinato a guardare la realizzazione di queste stupende opere e oggi mi sento fortunato per aver avuto l’opportunità di avere vissuto quel contesto che giudico e riconosco fantastico. Gaetano Evangelista                                                                            


  

Il pensiero di Greta e Barbara Macedonio:
La diversa linea temporale e la nostra giovane età, non ci ha concesso di vivere e frequentare la persona che più al mondo avremmo voluto conoscere, nostro nonno Giuseppe Macedonio. Tuttavia come un privilegio offerto a pochi, abbiamo la possibilità di porvi rimedio, intraprendendo un viaggio appena iniziato, verso la comprensione e la conoscenza del suo pensiero più intimo, con un linguaggio che va oltre le semplici parole o i gesti quotidiani che forse non avremmo saputo cogliere appieno.
La sua eredità, le sue opere, ci parlano e ci comunicano del suo amore profondo per la Vita che, nonostante le avversità, e forse anche grazie ad esse, si ha modo di apprezzare, nell'eterna ricerca di continuità con l’infinito; essere parti di un tutto ad iniziare da un uomo, nostro nonno che, attraverso un sogno vissuto con le mani nella creta, plasma per poi donarci una realtà in divenire.
Legate a lui con un filo invisibile che mai si potrà spezzare, sentiamo di essere parte di quel sogno e come tale abbiamo la responsabilità di proseguirlo con altrettanto amore…
                                                                                   Greta \ Barbara Macedonio



  
Il pensiero di Eugenio Macedonio:
Il Grande libro su Giuseppe Macedonio… è una pubblicazione edita per affermare alla storia lo spirito di un uomo, mio padre che nell’esprimere le sue filosofie attraverso il dipingere, volle aggiungervi il modellare.  
Settecentottantacinqe (785) pagine con più di quattrocento (400) fotografie, la cui tiratura di soli trenta esemplari autenticati la rende ancor più preziosa.
Il perché di questa pubblicazione è semplice, essa finalmente spiega il pensiero di Macedonio attraverso l’arte e, nel farlo, mette i puntini sulle “i” della storia.  
Un libro cui il mondo dell’arte sentiva il bisogno, considerando che Macedonio da giovane a difesa della sua privacy, eresse un’impenetrabile barriera intellettiva che senza darlo a vedere, lasciava fuori l’umanità intera; cosa che rese quasi impossibile scrivere su di lui. Visse così nel mondo, discosto ma partecipe e osservandone lo scorrere quotidiano coglieva spunti per le opere. Mia madre ed io stesso, vicini al suo lavoro, fummo gli unici a conoscerlo a fondo; non fu così per mia sorella e mio fratello che ebbero interessi differenti… figuriamoci poi gli estranei alla famiglia.
Per questa ragione ieri, attraverso la carta stampata, oggi attraverso l’informatica, si conosce un Macedonio snaturato da sedicenti memorie storiche i cui riporti non vanno oltre un comune “sentito dire”, cui si aggiunge il personale “presumere”. Espressione di un copia e incolla intellettuale di cui il lettore, non conoscendo il vero, non può che annuire. A questo proposito la Corte di Cassazione il 9 marzo 2006 esprime l’obbligo di esaminare, controllare e verificare quanto è oggetto della narrativa al fine di vincere ogni dubbio, non essendo sufficiente l’affidamento riposto in buona fede… cosa mai eseguita da nessuno. Resta inteso, come soffuso panorama di fondo, che quanti scrissero su Macedonio, non lo fecero per la storia ma, per illuminare i propri interessi.
Fin dagli anni ’70 mio padre mi dettava gli altrui errori… ne ho aggiunto altri.
Poco più di venti anni dopo la sua scomparsa e come il solito per un personale interesse, mia sorella iniziò a interessarsi alle opere del padre pag. 742, de: “Il grande libro…” ma, non conoscendo i fatti, richiese informazioni di giro e senza valutarne l’esattezza, pubblica poi in internet una lista della spesa che tutto fa tranne che spiegare Macedonio… Ecco l’importanza di questo libro.
Finita mia madre, la signora Giuseppina Garofalo in Macedonio, sono rimasto io soltanto al mondo a conoscere per filo e per segno mio padre! Così per ragione o per forza mi sono assunto la responsabilità della sua  memoria: per le sue opere, per le sue filosofie e per quant’altro compose la sua vita.
Affermo questo mio ruolo intellettuale, attraverso il “Grande libro…” non per presunzione, se lo fosse sarebbe smontabile dai fatti riportati dalla storia, mentre è “Il grande libro…” che smonta i tanti falsi ideologici di chi scrisse malamente di lui.  Cosa cui bisogna farsene una ragione… piaccia o no!  
Macedonio fu un faro nel mondo della cultura attraverso la ceramica, tanto che concettualmente diede modo alle intelligenze napoletane del dopoguerra di passare per la sua casa studio. Vi sostò perfino il trasvolatore del polo nord, Umberto Nobile al ritorno dalla Russia, come riporto ne: “Il grande libro…”.
La nostra era una casa fuori dal tempo, in Antignano, cui ricorderemo tre stanze con giardino, dove dal 1936 al 1986 un uomo dall’aspetto modesto e dall’ascetica calma, lavorò e visse insieme alla sua famiglia, perseguendo un unico fine: creare dei pezzi di paradiso in terra con la ceramica.
Chi visse a quel tempo, ebbe l’opportunità di godere del giardino incantato, in cui nella bella stagione dava forma ai suoi pensieri con l’argilla e il fuoco.
È questo il ricordo più bello che conservo della famiglia in cui sono nato.
Dai lontani anni ’70, mio padre coadiuvato da mia madre mi dettava i significati delle sue opere. L’intenzione era di pubblicarli, cosa che non riuscì prima di adesso, le cui pagine non vogliono essere un catalogo o peggio un memoriale, ma l’espressione delle sue filosofie lette attraverso le opere.  
Già in quest’assaggio si apprendono cose mai intese, come il perché volle realizzare grandi opere per l’architettura… cosa facile conoscendo i fatti. Da giovane Macedonio volendo dipingere e avendo bisogno di lavorare, chiese a uno dei grandi decoratori vissuto a Napoli, Arnaldo De Lisio se poteva fargli da mentore mentre lavorava per lui. Così, decorando i grandi spazi architettonici e conoscendo la duttilità della ceramica fu facile unire le due discipline creando opere da inserire nelle architetture, Pag. 32 de: “Il grande libro…”.
Chi era Macedonio… è questa una domanda difficile, tanto che nel presentarlo alla storia e a voi, oggi attraverso quanto egli stesso volle che scrivessi, devo per forza riferire ciò che tenne celato, iniziando dai suoi natali, avvenuti in una famiglia di benestanti laureati, concetto che prima  e a cavallo delle due guerre aveva una valenza molto ma molto diversa dall’odierno significato.
Tuttavia, queste cose bene o male sono trapelate alla storia, quel che proprio non si sa, è la singolare genia, tanto lunga da perdersi nella notte dei  tempi.
Eventi peculiari emergono, meravigliandoci, come ad esempio, il motivo per cui nacque il sostantivo “eretico”, (avvenimento riportato in ogni buona enciclopedia).
A questo proposito dovete sapere che Eretico Macedonio progenitore del ceppo Macedonio visse nel terzo secolo e fu un peculiare personaggio che negò la santità dello Spirito Santo riducendolo al grado di angelo messaggero.
Interrogativo che fu da lui stesso portato dinanzi al Papa…
Circostanza che dà l’idea di quanto “potere” avesse quest’uomo, considerando che se oggi si sollevasse lo stesso quesito, difficilmente si sarebbe ascoltati…
La Chiesa naturalmente non potè controbattere l’astrazione, essendo un concetto teologico e non un avvenimento terreno, anche se questo “atto di fede” compiuto da Eretico Macedonio provocò ampie fratture nel tessuto ecclesiale.
Si vennero così a creare scuole di pensiero tanto forti da portare l’interrogativo al Concilio di Costantinopoli tenutosi nel 381.
La Chiesa, nella sua infinita bontà, ancora una volta poté solo prendere atto della sostanza, non avendo termini di contrasto da contrapporre.
Tuttavia, sapendo noi per altre e più contemporanee vie che il potere non permette mai di far vincere altri se non se stesso, comprendiamo che quest’inalienabile principio, eloquio e scuola di vita per la Chiesa, fu la maniera sottile e pratica di tramutare il nome dell’avo nell’attuale significato encomiastico, trasformandolo da nome proprio di persona: “Eretico”, in sostantivo dal diverso valore attributivo.
Fu l’unica possibilità a disposizione del Concilio di Costantinopoli per rendere manifesto il proprio potere… disputa che non si è mai chiusa.
In tempi più recenti, verso la fine del 1200, la storia riporta i Macedonio legati alla Corte di Svezia durante il regnare di Re Ladislao, di cui un ramo in un ampio giro danubiano scese verso lo stivale, stabilizzandosi precisamente nel 1308 all’ombra della corte Angioina, durante il regno di Carlo Roberto del Casato di Napoli. Un altro ramo dei Macedonio salì verso la Russia  dove tempo dopo, al suo posto volle un Romanoff sul trono di tutte le Russie … solo per pigrizia… Episodi che hanno un valore  familiare, considerando che verso la fine degli anni cinquanta, i documenti araldici, furono bruciati dallo stesso Macedonio, mio padre, durante un breve ma intenso attacco antimonarchico, subito sedato e mai più ripetutosi, come riporto ne “Il grande libro…”.
Meno male che parte della documentazione fu in precedenza trascritta da una
zia materna: zia Nanà, per una sua ricerca. Da qui la certezza dei fatti i cui i documenti araldici per discendenza attribuivano al nonno il principato di…, seguito da una sequela di nomi dell’Europa danubiana, da tempo decaduti, anche se quanto rimaneva nel ricordo araldico era stato bruciato.
Ricordi di famiglia fino a ora sconosciuti ai più che pubblico soltanto per offrire un quadro di quest’artista del ‘900 napoletano, iniziando dalle origini.
Fatti, curiosità, indiscrezioni, eventi che Macedonio stesso volle tenere nascosti, come lo svolgersi della sua stessa vita ma che fu ugualmente scritta da quanti presumevano di conoscerne i perché legati alle opere e a Macedonio.
Cosa che non accade ne: “Il grande libro…”, essendo raccontato dallo stesso Macedonio e so per certo che non mentì su se stesso… i suoi concetti in seguito furono da me arricchiti di comuni ricordi ma senza inquinarne il pensiero.  
Giuseppe Macedonio, mio padre, era tanto saggio da apparire modesto.
Uomo equilibrato, lontano dall’effimera notorietà salottiera, pag. 552, lo ricordo vestito con abiti confortevoli, incurante delle mode, incredibilmente distratto perché concentrato sul modo di realizzare intellettualmente l’opera del momento, i cui concetti, sono sotto un lucido strato di smalto dov’è sempre possibile leggerne la complessa filosofia descrittiva se si sa farlo. Per questa ragione, ho messo a punto con successo un Codice, che ho chiamato “Codice Macedonio”  esso decifra il  significato delle sue opere, senza dare possibilità di contaminazione intellettuale… inserito nella pubblicazione.
S’insinuò che Macedonio fosse un artigiano, se pur evoluto… gli incauti non tennero conto o non conoscevano il significato dell’espressione “Artigiano evoluto” secondo il concetto dell’ingegner Stefano Brum, altrimenti avrebbero taciuto. Si dice che la via per l’inferno sia lastricata di buone intenzioni… è vero, poiché l’ingegnere negli anni cinquanta a una prima esposizione in favore degli artigiani della ceramica, del vetro e del ferro, pronunciò un auspicio che in seguito assunse un significato culturalmente irriguardoso.
In sintesi egli esternò due auguri, il primo testualmente dice: “la valorizzazione della figura dell’artigiano deve essere distinta dall’operaio industriale e avvicinato al vero e proprio artista…” omettendo che per volontà di Dio e della Nazione, non per colpa degli artigiani, questi provenendo da un passato tremendamente incolto oramai dimenticato, non potevano evolversi per “avvicinarsi alla figura dell’artista”.  Ricordando che, all’epoca beata la terza elementare era titolo di studio finito e non tutti l’avevano… tanto che per rimediare fu istituita una trasmissione televisiva: “Non è mai troppo tardi”. Ragione per cui l’infelice frase dell’ing. Brum assunse e mantenne il valore etico di un olocausto morale verso gli artigiani creativi.
L’ingegnere fu parte attiva di quella politica che indirizzava l’artigiano verso manifestazioni volute dallo Stato nel tentativo di risollevarne le sorti, le idee e i mercati. Era questo il motivo per cui nacquero le esposizioni artigiane, anche se subito si provvide a svilirne il fine fino a modificarli in concorsi… ma in realtà cosa vinceva il più bravo degli artigiani?… l’essere usato a sua insaputa!
Tuttavia, questi eventi ebbero un grande successo, soprattutto perché apportavano benessere agli organizzatori che a loro volta esistevano solo per accontentare l’onorevole di turno… Come si dice: Cicero pro domo suo o, se si vuole, organizzazioni all’italiana, ancora oggi, in alti campi, molto sentite.
La seconda frase dell’ingegner Brum d’interesse per queste pagine, è ne: “Il grande libro…”, per non prendere spazio, avendo voi compreso l’antifona.
Chi in quel tempo s’interessava al mondo della ceramica non ebbe interesse a svelare la vera faccia delle manifestazioni pro artigiani ma anzi, le appoggiava nei propri scritti, cercando in esse possibilità di ricavo… se pur morali. Questi eroi non ebbero interesse a mostrare cosa avveniva del concetto artigiano, comprendendo noi che in quest’ampio pensiero c’era anche Macedonio.
Allo stesso controverso modo si legge del “periodo vietrese” che negli appunti di Macedonio diventa un racconto logico e lineare di grande bellezza.  
Si sfata la realtà di Macedonio e piuttosto che attribuirgli il dovuto culturale di pittore che al dipingere aggiunse il volume della ceramica, si tace! Di questo non si scrisse mai… Si scrisse di scultore, di poeta, di Maiolicaro, finanche di musicista ma, mai di ceramista e tanto meno di ceramista dalle tradizioni pittoriche. Ecco cosa dice lo stesso Macedonio in un’intervista rilasciata al “Corriere del Vomero” nell’aprile del 1978: «Ho guardato alla ceramica come a un fatto di antica pittura, cosicché il supporto plastico è stato un mezzo su cui poggiare la pittura. Ed ho guardato alla pittura così come la guardavano nel Rinascimento, come elemento di colore nella casa dell'uomo, necessario alla fantasia»…omissis …«così come abbiamo un segno che indica la parola, allo stesso modo abbiamo dei segni che indicano sentimenti»…
Macedonio credeva in quella democrazia greca che rafforzata da una blanda opinione cattolica influì nel suo concetto d’uguaglianza culturale del lavoro che infimo o di pregio, aveva per la società civile uguali valenze, poiché l’uno non può fare a meno dell’altro… non però nella cultura. Avendo esposto per ben due volte, a manifestazioni artigiane, una in svizzera nel 1936, e la seconda al concorso di Faenza del 1942, per pari condizioni se invitato a mostre collettive, partecipava senza fare scelte. Era cosciente della dannosa inutilità di questi eventi, sapendo che il loro nobile fine in favore degli artigiani da subito si era trasformato in un’inapplicata teoria. Così i suoi principi etici di equità democratica davano a tutte loro la stessa valenza morale, fossero esse di carattere Nazionale, Regionale, Cittadine o ecclesiale e accettando indifferentemente ogni invito, esprimeva nel gesto un profondo principio democratico ed etico, scevro da ragioni politiche o ideologiche.
Le opere di Macedonio esprimendo filosofie esistenziali davano corpo ai suoi pensieri. All’esposizione del 1950 in Napoli. ad es., una delle opere presentate comunicava il suo dissenso verso le manifestazioni stesse, cosa che si comprende perfino attraverso il titolo: “Pagamento del tributo, date a Cesare quel che è di Cesare”. Vincitrice su tutte le opere esposte e che insieme ad altre due, fu acquistata dal Brooklyn Museum di New York… con grande invidia di chi ambiva vincere, come se l’evento fosse una gara sportiva… non capendo.
Sono queste alcune delle ragioni per cui Macedonio non può essere considerato un artigiano, indipendentemente dal valore intellettuale delle sue opere.
Chi scrisse senza conoscere i fatti, tacque perfino sulle ragioni per cui nacque la società: “I due fornaciari”, connubio di Vetere e Macedonio.
Non si disse che Vetere forzò il suo ingresso societario come “Socio di portafoglio”, sperando in un ricavo succulento… in questo, aimè, sbagliò il tempo, per via della guerra già in atto che chiudendo i mercati non diede modo di arricchirsi.
Non si disse che produceva solo Macedonio… anche se a suffragio, la storia riporta che non esistono opere in ceramica di Vetere ma solo di Macedonio se pur di solito a firma societaria.  
Si tace sulla grande disperazione di Vetere nel cercare con tenacia di recuperare a ogni costo l’investimento fatto, come si tace sulla totale mancanza di produzioni commerciali… è possibile che non né esiste più neanche una? Certamente sì, non essendo mai esistite! Tuttavia si miscela il concetto artigiano alle opere uniche e ai monotipi prodotti da Macedonio. Si omette la storia, si omette il significato della nascita di una Società, si omette il perché due persone vollero unire gli sforzi in un concetto comune. Ricordando che le uniche vere produzioni artigiane de “I due fornaciari” furono i tazzoni da caffè per la Red Cross, 1944, ’46, tornite in quel frangente da Riparini e da Rovinolo, mentre il manico fu montato dai Pinto, come la smaltatura e la cottura; i cui proventi servirono per restituire a Vetere quanto aveva investito nella società e finalmente scioglierla.
Nel 1942, i mercati chiudevano e Macedonio per bisogno, s’impiegò come disegnatore all’Alfa Romeo ma… dopo tre mesi fu licenziato per “scarsa aderenza alle ideologie fasciste”. Cosa che accadeva nello stesso periodo in cui riceveva dalle mani del Duce il più ambito premio Italiano per la ceramica… di cui la Società “i Due Fornaciari” poco c’entrava. Più di Vetere che non vedeva di buon occhio questa perdita di tempo infruttifera, c’entrò lo scultore Mazzullo, chiamato da Stella, Buccafusca e Cocchia, Soci del “Circolo degli Artisti” del Vomero, per salvaguardare i loro interessi politici, non per altro.
Non si dice che Stella fu un falso ceramista, anzi lo s’inneggia a futurista… cosa vera soltanto per il lato politico che interessò la ceramica, i cui fatti mi furono raccontati dallo stesso Capitano Stella al Centro Sperimentale Ceramica… Tutto riportato ne: Il grande libro
Dai suoi diciannove anni, macedonio alla biblioteca Nazionale studiava le innovative filosofie costruttive e da uomo eticamente corretto scartò la Bauhaus, poiché negli oggetti d’uso comune, questa corrente continuava un’antica tradizione in cui l’architetto era e rimaneva (la mente) mentre l’artigiano continuava a essere (il braccio), ripetendo l’eterno rito di “padrone e sotto”.
Scelse a modello la gestalt, considerandola una filosofia più democraticamente aperta, giacché offriva a chiunque ne avesse le capacità, la possibilità di disegnare oggetti superlativi, la cui realizzazione meccanica su larga scala aveva un costo popolare… Cosa che mancava all’oggettistica della Bauhaus.
Macedonio nacque alla via Torrione S. Martino al Vomero, al primo piano di un dignitoso quartino il cui pianerottolo era condiviso con un’altra famiglia i Garofalo. Dovete sapere che il bis nonno dei Garofalo era nientemeno che il comandante delle guardie Borboniche di Palazzo Reale. Lo fu fino alla disfatta di Francesco II di Borbone per via della risoluzione dei debiti torinesi, adempiuti da Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele. Un classico all’italiana che abbracciò la scusa di un’unità d’Italia per arraffare… tanto che lo stesso Vittorio Emanuele III scese fino a Teano per farsi consegnare l’Italia, da Garibaldi… Famiglia che avrà un ruolo fondamentale nella vita di Giuseppe.
La madre di Macedonio, la signora Eugenia Porzio, mia nonna, di cui ne porto il nome al maschile, era casalinga, come d’uso a quel tempo e osservando quel momento lontano attraverso la nebbia del tempo, si può scorgere quella bella signora che sarà mia nonna e che non ho mai conosciuto, impegnata nel parto di Giuseppe, mio padre, ragione per non disturbarla oltre.
In quel frangente, oltre alla levatrice, fu assistita dai vicini della porta accanto; i Garofalo.
Avendo anticipato seppur in breve vecchie storie d’interesse, rimane ora l’oroscopo natale di Macedonio.  
Giuseppe Macedonio, nasce il 25 settembre del 1906, di segno zodiacale “Bilancia” fu il terzogenito della famiglia, con il nome del nonno materno poiché il primogenito portò il nome del nonno, paterno, Michele, la sorella secondogenita, prese il  nome della nonna materna, Letizia, a Macedonio fu dato il nome del nonno materno Giuseppe.
Ho raccontato eventi poco noti o osservati secondo la prospettiva storica di Macedonio certo che almeno lui non menta su se stesso, conoscendo i fatti, anche se maggior soddisfazione si ricaverà dalla lettura del libro a lui dedicato.
Sperando di non aver annoiato con questa breve anticipazione, termino qui la presentazione di mio padre, massimo ceramista del ‘900, sperando apra a possibilità discorsive, le uniche che possano in parte eliminare il marciume intellettivo di quanto si è mal scritto su Macedonio… ma altresì convinto ci sarà sempre qualcuno a falsare la storia, secondo i propri interessi, pag. 748, de Il grande libro…”.  
In ogni caso sono fiero di aver iniziato insieme con sempre più persone a rimuovere le altrui buone intenzioni dalla via per l’inferno di quanti hanno contribuito a lastricarla.
                                              Per suo padre Giuseppe,  Eugenio Macedonio





I libri dalla fonte certa pubblicati su Giuseppe Macedonio .


                  
TITOLO: ERRATA CORRIGE. Documento a corso legale per la correzione delle inesattezze                        riportate nel catalogo "Giuseppe Macedonio scultore Maiolicaro".

AUTORE: Macedonio Eugenio.

PUBBLICAZIONE: a cura dell'autore; edito nel 2011 e distribuito gratuitamente fino a                                                   esaurimento.
FORMATO: 80 pagine; 21 cm.

DOVE SI TROVA:
                 Presso l'autore, eumacedonio@libero.it.
                 Presso La Sovrintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico e                                                        etnoantropologico.                    
    
                 Presso il Brooklyn Museum, New York, U.S.A.

                 Presso il Centro Studi filosofici via Monte di Dio, 14. 

                Presso la  Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III : IT\\ICCU\NAP\0533799.


TITOLO: Il grande libro su Giuseppe Macedonio, dagli appunti del massimo                                                 ceramista del '900, viaggio attraverso la sua memoria e le opere.

AUTORE: Macedonio Eugenio.

PUBBLICAZIONE: a cura dell'autore; edito nel marzo 2016.

FORMATO: 785 pagine; 450 fotografie; 21 cm. con custodia ad astuccio.

DOVE SI TROVA: in attesa di presentazione
           Presso l'autore, eumacedonio@libero.it.

          Presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III Non ancora disponibile al pubblico.

          Presso l' Istituto di Cultura Mario Melenzio, Sant'Agata de' Goti (BN)  

                           Collocazione M738 (6).










Alcune delle grandi ceramiche per l'architettura per le quali è conosciuto Giuseppe Macedonio



Alcuni esempi di ceramiche inserite nelle architettura, le cui dimensioni e la manifestazione filosofica del racconto dato dalle immagini pittoriche e di sbalzo le rendono ragione intellettuale di questo artista del ‘900.

Macedonio al lavoro nel giardino incantato





Da "Il grande libro... La casa fuori dal tempo e le opere perdute.
Dove si disquisisce sulla sua casa studio

Concettualmente, il mondo della cultura napoletana del dopoguerra passò per casa Macedonio. Perfino il trasvolatore del polo nord, Umberto Nobile, vi sostò.

Una casa fuori dal tempo, cui ricorderemo tre stanze con giardino, dove dal 1936 al 1986 un uomo dall’aspetto modesto e dall’ascetica calma, lavorò e visse insieme alla sua famiglia, sbattuto dagli eventi, senza mai desistere, perseguendo un solo unico fine: creare dei pezzi di paradiso in terra attraverso il suo pensiero le cui mani avevano l’abilità di trasformare in ceramica. Chi visse in quel tempo ebbe l’opportunità di godere del giardino incantato osservando Macedonio dar forma ai suoi pensieri attraverso l’argilla e il fuoco. 
È il ricordo più bello che conservo della famiglia in cui sono nato ...



Quadro astrale di Giuseppe Macedonio
...Molte sue realizzazioni, per forza maggiore sono state tralasciate, come quelle poste in case private di cui non c’è traccia fotografica o ricordo, oppure di altre, distrutte dalla mano dell’uomo. Cosa che se si considera da un positivo punto di vista, lascia spazio a successive ricerche e attribuzioni, adatte ad arricchirne la storia. 
Personalmente ricordo l’ubicazione di molte sue opere di cui per mancanza di fotografie si è perso il ricordo, come ad esempio la cappa di un finto camino, eseguito nel 1951 per un appartamento di via L. San Felice; oppure un’opera eseguita nei primi anni sessanta nell'appartamento del pittore Miraglia, al Parco Comola Ricci. oppure come la fontana astratta in via L. Giordano, ora murata. 
Molte  opere  sono sfuggite persino al ricordo dello stesso Macedonio, per cui... 
Le opere realizzate per appartamenti patrizi napoletani furono assai ingenti, considerando che tra il 1946 e il 1980, era un privilegio possedere una sua opera.
In un calcolo approssimato per difetto, risultano essere molto più di un paio di centinaia, tra quelle sfuggite alla macchina fotografica e  al ricordo: vasi, centri tavola, fontane, piastrelle sbalzate o dipinte, e quant'altro produsse generosamente a cominciare dal 1936, anche se la fragilità stessa della materia contribuì a distruggerle involontariamente. 
Sono queste opere  affondate nel mare della vita di cui si è persa memoria ma in cui tuttavia è stato solo il ricordo a perdesi al momento, non la consapevolezza della loro esistenza. 
Ragione per cui auspico che in futuro capaci menti porteranno alla luce quest’immensa ricchezza dimenticata, rendendola patrimonio  dell’umanità, almeno nella loro espressione filosofica che altro non è se non il pensiero stesso di Giuseppe Macedonio, ceramista in Napoli, per il mondo. 



1946,  prima opera architettonica di Macedonio,
via A. Falcone, Napoli. 




1946, Particolare prima opera,
via A. Falcone, Napoli.


Altre ceramiche per l'arechitettura di Giuseppe Macedonio.


In via Mario fiore a Napoli, nel 1948,
Portale, Corridoio con fioriere, Alzate di scale, Androne con decorazioni e Fontana con tritoni.



1948, via M Fiore, Napoli, Portale .








1948,  via M. Fiore, Napoli ingresso con fioriere e alzate di scale.



1948, fontana in un androne in via M. Fiore.






1948, via M. Fiore Napoli, i Tritoni,
particolare della fontana nell'androne.


Da "Il grande libro... La Ceramica, questa sconosciuta.
Dove si fa la differenza per concetto tra ceramica, pittura e scultura.

Mi sono sempre chiesto se c’è qualcuno che realmente conosce la differenza che intercorre tra la ceramica e le altre arti. Non le tecniche, palesemente diverse tra loro, quanto il modo razionale d’intenderle intellettualmente.
Tutti sanno che ogni espressione dello spirito prima di essere materialmente realizzata ha bisogno di un tema che in genere nasce da un’ispirazione e secondo la materia scelta, di uno spazio in cui concepirla. La pittura, ad esempio, avrà bisogno di uno spazio delimitato, una tela, l’interno di una cupola, un medaglione, non fa differenza.
La scultura adopererà uno spazio inteso come una serie di volumi per creare la forma e la dimensione sviluppando l’immagine dell’opera.
La ceramica e volendo essere pignoli, anche la porcellana, il gres, la terraglia, hanno invece bisogno di un’ideazione alquanto più complessa, poiché nel momento stesso in cui si concepisce l’idea, bisogna pensarla come forma, spessore e colore insieme, quindi né volume, come per la scultura, né spazio delimitato, come per la pittura. È qui, nel concepimento dell’opera che risiede la differenza intellettuale.
Senza la scelta di una forma concomitante l’ispirazione, in cui vi è lo spessore e la colorazione del più piccolo dettaglio, non si potrà realizzare un oggetto di ceramica.
Non si commetta l’errore di pensare alla ceramica, intendendola come volume o come spazio adatto ad accogliere la pittura. Niente di tutto ciò! Sarà la forma a darle quelle possibilità che la pittura o la scultura per definizione non possiedono.
Se si sceglie di creare in ceramica un oggetto semplice, ad esempio una tazzina da caffè, nello stesso momento cui ci saremo ispirati, avremo già scelto intellettivamente la sua forma che potrà essere classica, moderna, barocca, funzionale, futuristica, astratta, pensando al colore da darle, al suo spessore, tutto concomitante l’ispirazione.
Come dire, è la stessa differenza che intercorre tra il volo di un aereo e di un elicottero, entrambi si sostengono in aria ma l’aereo si sostiene grazie alla propria velocità, mentre l’elicottero può avere infinite scelte, anche se entrambi volano.
Cosicché ispirati a realizzare un qualsivoglia oggetto di ceramica, terraglia, gres, porcellana, con gli occhi della mente, bisognerà pensarla nel suo insieme, forma, spessore, colore, tipo di lucido anche se è uno spazio piano ma, non pensarla come una scultura, intesa secondo un volume, oppure come una pittura, anche se contiene entrambe queste possibilità.
La mancanza di questo concetto razionale, non né permetterà  il concepimento come ceramica, terraglia, gres ma… solo come scultura dipinta, cosa notoriamente diversa. Il ceramista poi, anche quando dipinge l’opera, vede il colore con gli occhi della fantasia, non realmente poiché gli ossidi o i biossidi adoperati possiedono una colorazione differente dal prodotto finito.
La complessità della ceramica quindi, comincia dal suo concepimento, terminando con la fuoriuscita dalla fornace, poiché sarà il fuoco a modificarla secondo quanto si è pensato, cosa questa che la rende ancor più dissimile dalle altre discipline...

UN PORTALE IN VIA L. GALDIERI-NAPOLI 

1948, '49, via L. Galdieri Napoli, portale d'ingresso.


UN PORTALE SULLA VIA M. SCHIPA-NAPOLI E LE DECORAZIONI INTERNE.

1949, via M. Schipa, Napoli, portale, architrave e alzate di scale. 



1949, via M. Schipa, particolare
del portale d'ingresso.






















1949, via M. Schipa, alzate di scale interne e battiscopa.


1949, via M. Schipa, particolare alzata di scale interne.
1949, via M Schipa, particolare
alzate di scale.












1949, via M. Schipa, Napoli, architrave nell'ingresso prospiciente la strada.
Quest'opera complessa e frammezzata in più parti poste in due androni un portale e alzate di scalini esplica le origini e l'evoluzione intellettiva dell'uomo secondo due possibilità: una rappresentata sull'architrave dell'androne prospiciente via M. Schipa, espressione di una evoluzione darwiniana in cui si osserva la caccia, inteso come momento evolutivo, in cui i cacciatori sono accompagnati dalle rispettive compagne, esprimendo così oltre alla evoluzione una compagine sociale.
L'altro tema, all'androne prospiciente il giardino interno, esprime  una possibilità teologica attraverso il tema "La cacciata dal paradiso terrestre",  momento in cui Macedonio mostra l'evoluzione attraverso il sacrificio dei nostri progenitori, Adamo e Eva,e il loro evolversi sulla terra. 
in questa doppia possibilità, sacra e profana, il portale prospiciente la strada mostra il progresso intellettuale odierno legato a quegli anni, dimostrando che in ogni caso è avvenuto. 
Entrambi i temi e la visione odierna dei due concetti, l'uno profano e l'altro sacro, a loro volta legano intellettualmente alla natura attraverso le decorazioni poste alle alzate di scalini
1949, via M. Schipa, Napoli, androne prospiciente il giardino, La cacciata di Eva dal paradiso 
1949, via M. Schipa, la cacciata di Eva, particolare.

1949, via M. Schipa, Adamo ed Eva, particolare















1949, Un'opera nata da una notte di baldoria.
1949, opera muraria L'oriente misterioso







UNA DELLE TRE OPERE AL BROOKLYN MUSEUM-NEW YORK.


1950,Brooklyn Museum, opera muraria, "Date a Cesare quel che è di Cesare".




Due esempi di industrial design realizatie per la Ditta Freda e Figli, Napoli.
1950, prototipo Coppa dei centauri.

1950,coppa da tavola: Albero.



Nasce la più grande opera in ceramica del '900,
la  Grande  Fontana  della  Mostra  d'Oltremare,
più di mille metri quadrati di  ceramica sbalzata
 Contrariamente a quanto si pensa, Macedonio lavorò da solo alla realizzazione della Grande Fontana, fruendo degli spazi e delle attrezzature  della Ditta Freda ai Ponti Rossi Napoli. L'unica persona che gli fece da assistente fu la ceramista Diana franco che  non intervenne nella realizzazione ma solo nel montaggio. 

1950, '54, Grande Fontana Mosatra d'Oltremare Napoli - 
Da "Il grande libro...
Le arcane datazioni della Mostra d’Oltremare e 
le origini della Grande fontana, 1940-2006
Dove, attraverso un po’ di storia, si mette ordine alle date e ai fatti.

La “Mostra delle terre italiane d’Oltremare”, così si chiamò in principio lo spazio espositivo inaugurato il 9 maggio 1940 alla presenza del Re d’Italia Vittorio Emanuele III, del Commissario Governativo, On. Vincenzo Tecchio, in rappresentanza di Mussolini e del responsabile dell’ufficio Tecnico ing. Luigi Tocchetti. 
I lavori di questo grande parco, iniziati per fini politici e speculativi, avevano come scopo finale la promozione di scambi commerciali con le colonie. 
Il progetto iniziò ufficiosamente nel 1936, quattro anni prima, anche se in realtà da molto tempo prima si programmava politicamente l’evento.
L’idea risale al pieno auge fascista e quanto si concretò, nel 1939, cioè la progettazione dell’intera area, fu affidata allo studio dell’arch. Marcello Canino.
Il progetto, per sveltirne la realizzazione, fu suddiviso per settori e assegnati a più architetti. Di nostro interesse è il progetto della Grande Fontana oltre che del verde che la contorna, la cui realizzazione, fu affidata agli architetti: Luigi Picanto, urbanista, e Carlo Cocchia. La Mostra delle terre italiane d’Oltremare ebbe breve vita, poiché inaugurata il 9 maggio del ’40, vide la sua chiusura il 10 giugno 1940, allorquando Benito Mussolini leggerà la dichiarazione di guerra, con quel che seguì.
Terminata la guerra, in un diverso benessere, si pensò di riprendere l’intero progetto, giudicandolo di grandi opportunità e di ampio respiro, soprattutto politico.  
Fu il motivo per risistemare il complesso, sciupato dai bombardamenti prima e dall’occupazione dei tanti senzatetto dopo.
In questo modo e per queste ragioni, ufficialmente il 16 aprile 1950 un’assemblea presieduta dall’ingegner Pier Luigi Tocchetti e dagli architetti Canino, Capobianco, Cocchia, De Luca, Piccinato, Salvatori, approvò il nuovo progetto e i piani particolareggiati, suddividendolo secondo le specifiche dei diversi architetti.
Il progetto, nel suo insieme, interessava una buona parte dei padiglioni preesistenti, compresa la Grande Fontana e il suo verde, affidati agli architetti Picanto, e Cocchia.
Nel frattempo, essendo cambiati i tempi, la Mostra d’Oltremare cambiò veste, chiamandosi “Ente Autonomo Mostra d’Oltremare, e del Lavoro Italiano nel Mondo”, Ragione Sociale che per questo progetto di rinnovo e recupero andarono gli ingenti fondi Regionali stanziati per le aree di forte sviluppo.
La politica pressava fortemente, affinché potesse sfruttare quanto prima il ritorno d’immagine di un simile intervento e impaziente… non attese la conclusione del restauro, fissando una data ufficiale per l’inaugurazione: l’8 giugno 1952.
In questa data si fecero confluire altre manifestazioni, come per esempio l’esposizione di prodotti esteri, in prevalenza nord africani, come anche, la prima “Mostra Triennale del Lavoro Italiano nel Mondo” che si tenne dall’8 al 23 Giugno ’52.
Il rinnovamento architettonico non era ancora del tutto terminato quando l’on. Luigi Einaudi, Presidente della Repubblica, inaugurò il complesso. La grande fontana di Macedonio dovrà aspettare gli inizi del 1954. Per continuità storica, apro una parentesi riferendo che per molti anni, tutto funzionò con apparente perfezione; la Mostra ospitò interessanti rassegne tecnologiche e culturali oltre alla “Fiera della Casa” e il “Nautic Sud”. Poi per via di una mancata sostituzione del personale testé pensionato, la manutenzione diede inizio a un lento degrado da abbandono che raggiunse la sua apoteosi negli anni ’80, con l’accoglienza dei “terremotati” di cui dobbiamo l’incredibile scempio culturale e di opere d’arte che da questo evento conseguì.
Fu volutamente distrutta una preziosissima opera in ceramica realizzata dalla ceramista Diana Franco (collaboratrice organizzativa di Macedonio per la realizzazione della Grande Fontana), opera realizzata nel ’54 per le “Serre Botaniche” e abbattuta scientemente, per far posto a un container a uso dei terremotati. 
La Mostra d’Oltremare affondava sempre più in uno sfacelo senza ritegno.
Anni dopo, grazie alla colta insistenza persuasiva di molti, tra cui, l’architetto Eduardo Alamaro, oltre l’azione “politica” di un Comitato creato per la sua tutela, la Dirigenza dell’Ente riuscì nell’intento preposto. Nel 1999 l’Ente Mostra si riconvertì in Mostra d’Oltremare S.p.A., raccogliendo in questo modo, fondi sufficienti per un nuovo restauro. La grande fontana fu riconsegnata alla cittadinanza completamente restaurata, attraverso una festa inaugurale tenutasi il 21 maggio 2006.
In questa circostanza, gli eredi Macedonio si aspettavano perlomeno di ricevere un invito all’inaugurazione, inteso come gesto etico e simbolico verso la grande opera, gesto che sarebbe stato ovvio oltre che doveroso ma… non giunse mai.
La strafottenza della dirigenza della Mostra d’Oltremare S.p.A, e dei loro collaboratori, fu veramente ragguardevole. Una vergogna su cui ho inteso porre l’accento.
Con quest’interessante appunto, termina il compendio storico sull’arcano delle date inerenti le succedenti inaugurazioni che dal ’40, su queste pagine si conclusero nel ’99.
1952, Mostra d'Oltremare Na,Giuseppe Macedonio e Diana Franco
 osservano le parti staccate di un'opera da montare.


1950, 54 Mostra d'Oltremare Na,Grande Fontana "I due tori",immagine centrale. 

1952, Mostra d'Oltremare Na. Grande Fontana,
 "Macedonio sovraintende il montaggio "


Quest'opera si avvale di  concetti intellettuali maggiormente adoperati da Macedonio: "gli accadimenti giornalieri", filtrati attraverso le personali introspezioni, il cui connubio offre  il senso dello scorrere della vita in un tutt'uno con la natura in un esistere giornaliero che mostra pecche e  virtù dell'umana specie.  

1950, 54, Mostra d'Oltrtemare Napoli, Grande Fontana,
"LaCaccia", particolare 

1950, '54, Mostra d'Oltremare Na. Grande Fontana, "Gli aironi",

1950, '54, Mostra d'Oltremare Na. Grande Fontana,"Il trasporto".

1950, '54, Mostra d'Oltremare Na. Grande Fontana, "I Cerbiatti".

1950, '54, Mostra d'Oltremare, Na. Grande Fontana, "La vendemmia".

1950, '54,Mostra d'Oltremare Na. Grande Fontana,
"La vendemmia", particolare.

1950, '54, Mostra d'Oltremare Na., Grande Fontana,
"Lui, lei e...l'altro". 

1950, '54, Mostra d'oltremare Na, Grande Fontana,
"Il Fagocero e la Giraffa"

1950, '54, Mostra d'Oltremare Na, Grande Fontana,
"Una coppia di leoni".

1950, '54, Mostra d'oltremare Na. Grande Fontana,
"Alla Fontana", particolare.

1950, '54, Mostra d'Oltremare Na. Grande Fontana,
"Le tre Comari".

1950, '54, Mostra d'Oltremare Na. Grande Fontana,
"Solitudine" 




Un racconto certo dimenticato


   Da "Il grande libro... Un evento poco noto sulle pompe idrauliche, 1952.
Un evento voluto dimenticare: le pompe idrauliche della Grande Fontana.

È una storia che ormai pochissime persone ricordano o sanno, già allora tenuta in stretto riserbo. La conosco e la ricordo giusto perché l’ho vissuta in prima persona, essendo presente all’accaduto e al suo protrarsi, durante il montaggio delle ceramiche.
Mancava qualche mese all’inaugurazione dell’8 giugno 1952, e tutti erano alacremente intenti a terminare i loro compiti, come anche gli ingegneri provavano il funzionamento delle pompe e l’abbinamento ai colori e al suono. In una di queste prove, cui m’incantavo a guardare i giochi d’acqua; questa, dopo una breve spruzzata, dapprima uscì dagli ugelli in maniera incongrua, poi smise del tutto.
I meccanismi automatici di sovrappressione in caso di pericolo, avrebbero staccato i compressori dell’acqua, evitando esplosioni, ma gli ingegneri si chiesero del perché di questa sovrappressione e soprattutto cosa otturava le pompe?
Gli stessi ingegneri e i tecnici addetti al pompaggio, ricontrollarono minuziosamente il percorso dell’acqua e ogni singolo macchinario, senza spiegarsi l’accaduto.
Tutto era apparentemente in ordine.
Un’ennesima prova, fu fatta eliminando le sicurezze e forzando la pressione, per cercare di sbloccare gli ugelli in apparenza liberi.  
Dall’esterno, si udì un forte rumore, un sibilo in crescendo, provenire dai compressori che accumulavano energia senza riuscire a estinguerla, fin quando, dall’alto della fontana, vedemmo i tecnici e gli ingegneri, riversarsi in strada, spaventati attraverso la porticina posta alle spalle delle vasche, temendo un possibile cedimento idraulico, rimanendo lontani, in attesa che la pressione scendesse.
Fu una gran paura per tutti.
Seppi più tardi che i tecnici avevano ricontrollato le pompe, i compressori, i tubi, le valvole, un controllo generale, senza ancora trovare l’anomalia.
Poi passarono nuovamente all’esterno, controllando gli ugelli per quanto possibile; lavorarono immersi in almeno quaranta cm di acqua e, al controllo, apparvero del tutto normali.
Si riaccese l’impianto, ma l’acqua ancora non usciva. C’era da scervellarsi.
Gli ingegneri, a questo punto, furono costretti a far smontare una pompa per controllarne l’interno e fu solo a questo punto che si scoprì l’arcano.
L’Ente Mostra, nottetempo, per abbellire le vasche, aveva messo in tutte una grandissima quantità di pesci rossi, piuttosto grandicelli: erano migliaia.
La forte aspirazione delle pompe, aspirando l’acqua, risucchiava anche le povere bestiole che, spinte a forza nei passaggi angusti, ne avevano ostruito il flusso.
Si corse ai ripari, smontando e ripulendo le pompe e i diversi passaggi e per ovviare all’inconveniente, si sistemarono delle reti di acciaio inox sulle bocchette aspiranti della vasca, in modo da salvaguardare i pesci da quest’orrenda fine.
A questo punto provarono di nuovo l’impianto che lavorò più che bene per un buon quarto d’ora dopodiché, lo zampillo lentamente si ammosciò fino a non far uscire più nulla.
Credendo di sapere da cosa proveniva il danno, si smontarono nuovamente le pompe, ma queste erano pulite e libere da ogni ingombro.
A una prova successiva, si presentò lo stesso problema, anche se questa volta i manometri dei compressori segnalarono “vuoto”, alle pompe, cioè una totale mancanza di acqua.
Fatto che, girando a vuoto, portava a bruciarle i motori per l’attrito.
Tutto fu subito spento, era nato un nuovo arcano inspiegabile, poiché questa volta le pompe, gli ugelli e i passaggi erano liberi e, tuttavia, l’acqua non circolava al loro interno. Si scoprì di lì a poco, casualmente, dopo un ennesimo giro d’ispezione che la forza aspirante delle pompe, era tanto potente da creare una forte corrente d’aspirazione nella grande vasca che questa volta non aspirava i poveri pesci, per portarli ai compressori, ma li comprimeva direttamente sul posto, schiacciandoli contro la rete di protezione di acciaio inox, sistemata appositamente per la loro protezione e salvaguardia.
I loro corpi formavano dei veri e propri tappi biologici impedendo all’acqua di passare.
Tutto si risolse eliminando fino all’ultimo pesce dalla vasca.

Così la vita per gli ingegneri e gli addetti alle pompe, poté riprendere a scorrere tranquilla.


1953, inaugurazione della grande fontana, le opere in ceramica la termineranno solo l'anno successivo.


OPERA DONATA AL MUSEO INTERNAZ. DEL VETRO E DELLE CERAMICHE, FAENZA.

1953,  bozzetto realizzato per la grande Fontana, Mostra d'Oltremare, poi donata al Museo Internazionale  per la ceramica e il vetro di Faenza, dopo aver partecipato al Concorso indetto dallo stesso  Museo, 27 giugno, 12 luglio. 





UNA CHIESA AL PARCO LAURO-NAPOLI.
1953, fregio per la chiesa di S. M. del buon consiglio, parco Lauro Na.


PARTICOLARE,  ANDRONE CON FIORIERE, VIA M. RUTA-NAPOLI.
1953, '54, opera realizzata per un androne in via M. Ruta, Napoli. Tema:L'uomo e il suo tempo.
in cui Macedonio esprime le diverse possibilità e scelte nel sociale, prediligendo la possibilità di condividere la natura con gli altri suoi abitanti, anche se c'è dell'altro.

ANDRONE IN VIA CIMAROSA-NAPOLI.

1955, Androne in un edificio in via Cimarosa, Napoli.
Tema: La scala graduata.
in cui Macedonio paragona lo stato sociale dell'umanità ad una scala graduata...



1955, Particolare dell'androne in via Cimarosa, Napoli.


DUE PORTALI IN VIA CILEA.

1955, palazzo delle maestre, due portali in via F. Cilea, Napoli.


1955, via F. Cilea, Napoli. Palazzo delle maestre, una delle opere nel primo androne,
il tema è: Le scoperte dell'uomo.
in questo quadro Macedonio rappresenta la scoperta dei metalli e della ruota.



1955, via F. Cilea, Napoli. Palazzo delle maestre,  primo androne, il tema è: La trasformazione del sapere teorico che così diventa possibilità evolutiva nel cammino dell’uomo
Macedonio vede nel rinnovo generazionale l'evoluzione del  sapere appreso, subito  superato dal rinnovarsi. 
È questa una complessa filosofia espressa da Macedonio in questo gruppo di opere con apparente semplicità, il cui aspetto esteriore, cela un ben più profondo contenuto... come si esplica nella pubblicazione.





UN'OPERA IN QUATTRO TEMPI AL PONTE DI TAPPIA-NAPOLI



1957, via Ponte di Tappia, Napoli.
Il tema che Macedonio interpreta, è: La storia sul progresso dell'umana specie.
Per realizzarla egli si pone un'unica domanda: Cosa ne sarà dell'umanità quando avrà terminato di evolversi? Per rispondere al quesito non può che allontanarsi intellettualmente dal suo tempo e descrivere attraverso le immagini quanto vede nel lontano futuro. 
La risposta  andrà letta in sequenza nelle  quattro grandi opere poste una per facciata, a iniziare dall'opera prospiciente via Toledo, espressione di un presente a lui contemporaneo(siamo nel 1957)  e proseguendo leggeremo  il viaggio dell'umanità verso il suo remoto futuro in cui nell'ultimo quadro si conclude l'interrogativo posto.

1957, Ponte di Tappia, primo quadro, fronte via Toledo


1957, Ponte di Tappia, secondo quadro via P. di Tappia


1957, Ponte di Tappia, terzo quadro, via Bracco


1957,Ponte di Tappia, quarto quadro, s. Tommaso d'Aquino. 


questo lungo pellegrinare filosofico dell'umanità per raggiungere la perfezione intellettuale,  nella pubblicazione non solo è spiegata attraverso i suoi stessi appunti ma anche con l'uso del
Codice-Macedonio che non  permette d'inquinarne il significato intellettualmente.





1957, l'opera in via G. Doria al Vomero:
sette grandi quadri esterni, uno per piano e le decorazioni dell'androne


1957, panoramica dell'androne a due livelli in via G. Doria

1957, particolare dell'opera nel piano basso dell'androne in via G. Doria

1957, secondo particolare dell'opera nel piano basso dell'androne.
via F. Doria


1957, panoramica delle sette opere esterne in via G. Doria.


1957, via G. Doria, primo quadro esterno, (primo piano).



1957, via G. Doria, secondo quadro esterno.


1957, via G. Doria, terzo quadro esterno.

1957, via G. Doria Quarto quadro esterno.

1957, via G. Doria, quinto quadro esterno.

1957, via G. Doria, sesto quadro esterno.

1957, via G. Doria, ottavo quadro esterno.
Come si può osservare da questa sequenza fotografica, man mano che si sale verso l'alto, i quadri assumono sempre maggior semplicità nelle linee e colori più accesi.
Questo per permettere all'osservatore di comprendere i concetti.





1958, opera  all'E.M.P.I. al Chiatamone, (oggi A.S.L.).
l'opera è su di una parete interna della sala d'aspetto e smistamento le sue misure sono di quatto metri e quaranta per circa sei metri e cinquanta.


1958, particolare dell'opera all' E.M.P.I.




1958, 59, Pilastro a un ingresso in via A. Manzoni e due quadri nell'androne.

1958, via A.Manzoni, il primo quadro all'interno dell'androne.





1958, via A Manzoni, secondo quadro all'interno dell'androne




1959, quattro figure di una mastodontica opera in tutto tondo realizzata per l'intera facciata di un palazzo ai Ponti Rossi, Napoli. L'opera all'origine misurava mt. 12 di altezza per 14 di larghezza, montata su una struttura tubolare posta all'esterno dei balconi.
Fu poi smontata per motivi di sicurezza e restituita a Macedonio che  riutilizzò  le figure in differenti occasioni, come ben riporto ne: Il grande libro...



1959, alcune figure provenienti dallo smontaggio dell'opera di via Ponti Rossi,
        sistemate momentaneamente nel "giardino incantato" di casa Macedonio che
per tali ragioni assunse questo nome.



1959, Il deserto americano, grande opera di mt sei di larghezza per quatto di altezza
realizzato per un androne in via Bonito, Vomero, Napoli.


1959, La propagazione del suono, opera non figurativa in un androne di via A. Falcone,Napoli.


1960, Lungo fontanile in via Belvedere, Vomero Napoli.


1960, Ciò che disse Cummeo, particolare di un'opera in casa di Domenico Rea.

1960, Ciò che disse Cummeo, particolare di un'opera in casa di Domenico Rea.




dal1961, al 1976 in modo saltuario vi è la parentesi delle
opere in Gallipoli, Lecce, grazie all'arch. Enzo Perna.

bozzetto per un'opera a grandezza naturale in casa Torselli.
l'opera di cui non vi sono altre immagini è posta a fine corrimano
di una scala che conduce ad un vasto salone di rappresentanza.
spesso scambiata dai "grandi conoscitori delle ceramiche di Macedonio"
per l'opera posta anch'essa alla fine di un corrimano nel Cinema Orchidea,
ora facente parte di una collezione privata



1962, Complesso abitativo e commerciale in Corso Roma, Gallipoli, Lecce
per il tecnigrafo dell'arch. Enzo Perna.
le opere di Macedonio abbelliscono l'intera facciata dell'ingresso.

1962, Corso Roma,Gallipoli, Lecce, panoramica delle ceramiche
di Macedonio sull'intera verticale della facciata.


1963, un opera in tre quadri in via Michelangelo da Caravaggio.

1963, il secondo dei tre quadri in via Michelangelo da Caravaggio.

1963, il terzo dei tre quadri in via Michelangelo da Caravaggio.





1963,Un pavimento in via S. Euframo vecchio, Napoli.





1964, la farmacia Sellitti, Riviera di Chiaja, Napoli.
Un'opera che ci parla della polio, intesa come ricerca medica




1965, un falso Macedonio dalla firma autentica, Ombrellificio Sessa, via Duomo, Napoli.


1966, espressione di un complesso concetto intellettuale, coll. privata, Napoli.




Le opere al Parco Vanna, via Jannelli al Vomero alto, Napoli dal 1966 al 1972,


1966, Il graffito perimetrale esterno al Parco Vanna, via Jannelli, Vomero alto, Napoli.
l'opera, divisa per ragioni di spazio in quattro segmenti guarda al futuro auspicando attraverso le immagini un futuro prospero. 
le stesse immagini legano con il concetto intellettuale "magico" che Macedonio, esprime nell'intero parco, ricordo di scoperte e giovanili e avventure intellettive, avute in questo campo, ricordando che Macedonio prendeva dal suo presente i concetti da esprimere attraverso la ceramica.





1966, 1967, Parco Vanna, via Jannelli Napoli, opera in tre quadri all'interno del primo androne.

primo quadro.



Secondo quadro.



terzo quadro.



1068, Il guerriero e il cacciatore", un'opera dalla particolare filosofia in cui la figura è sdoppiata in due concetti, l'uno del cacciatore, a salvaguardia della specie e della famiglia, l'altro del guerriero a salvaguardia delle comuni proprietà ,

1968, la terza bugia, l'opera più piccola mai realizzata da Macedonio, ciononostante la filosofia che esprime è pari alla sua opera più grande



1970 Parco Vanna, via Jannelli, "Il centauro", opera nel secondo androne.




1970, 1973, Parrocchia di Casalvelino Marina, Salerno.



1970, "Il Cristo crocifisso, tuttotondo, altezza mt 250 circa, Parrocchia di Casalvelino Marina,


1970, altare nella parte frontale in cui macedonio esprime la nascita di Adamo e Eva; Il peccato originario; la cacciata dal paradiso.
i sostegni laterali si esprimono invece attraverso il nuovo testamento, dando all'osservatore il concetto delle radici (attraverso il vecchio testamento) e il fiore attraverso il Vangelo.



1971, il fonte battesimale,  Parrocchia di Casalvelino Marina,


1971,'72,Parrocchia di Casalvelino Marina, due vasche di acquasantiera


1971,'72,  il miracolo di Lazzaro, acquasantiera, Parrocchia di Casalvelino Marina,


1971,'72,  il miracolo dei pani e dei pesci, acquasantiera, Parrocchia di Casalvelino Marina,

1971,'72,  base d'appoggio per una statua lignea, Parrocchia di Casalvelino Marina,



1971,'72,  Candelabro Pasqualearrocchia di Casalvelino Marina,






1972, opera nel terzo e nel quarto androne. il drago ha un profondo significato che cambia secondo la civiltà che adotta quest'immagine.








1973,   Via Crucis, Parrocchia di Casalvelino Marina,




1976, interno del Teatro Cinema Italia, Gallipoli


1976, gli attori, interno del Teatro- Cinema Italia, Gallipoli Lecce.

1976, le maschere, alla biglietteria del Cinema Teatro Italia Gallipoli Lecce.


1976, Macedonio pensa nel suo studio del Vomero




per ora ci fermiamo quì, 
l'estensione continua mensilmente fino alla sua ultima opera realizzata nel 1986:Il paese di bengodi, vaso.

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